PALMINA

Cara Mamma,

questa mattina, all’alba, mi sono svegliata da un sonno irrequieto, forse perché ti stavo sognando.

A quel punto ne ho approfittato per andare in bagno, che alla mia età, al posto del pensiero debole, vince la debolezza della vescica.

Tornata a dormire ho ripreso il sogno, come non mi capita mai quando lo vorrei fortemente, e invece…

Sì, perché il sogno non era propriamente uno di quelli che non vorresti mai abbandonare: eri tu adesso, attraversata dall’inconsapevolezza senile, che confonde tempi, luoghi e persone.

Al mio risveglio definitivo sono inevitabilmente stata rapita dalla routine mattutina, ma il riverbero del sogno ha continuato a vibrare.

Ho pensato all’attuale impossibilità di chiamarti per un saluto al volo o, più prosaicamente, per chiederti un consiglio domestico o culinario.

Oppure, al contrario, di quando mi telefonavi Tu per chiedermi un parere su qualcosa di importante, perché da quando sono adulta hai sempre tenuto conto del mio parere.

Ti ho pensata nella tua vita “di prima”, a quanto ti fossi emancipata a partire dalla scomparsa di Papà: quell’evento, invece di annichilirti, ti diede uno slancio di indipendenza che non avevi mai sperimentato, e forse non pensavi neppure di possedere.

Come il timore di viaggiare e di villeggiare da sola; e quanto ho insistito perché lo facessi comunque, convincendoti che, se non fossi stata in grado di reggere la solitudine, avresti sempre avuto la possibilità di tornare a casa.

Quando invece realizzasti di esserne in grado, ne fui davvero felice, proprio come te.

Mi è riaffiorato il ricordo non solo delle tue camicette a fiori, ma anche delle maglie dai colori squillanti, e alla chioma sempre fresca di parrucchiere: ti piaceva sentirti in ordine e ne facevi un punto di orgoglio. 

Oggi di quell’attenzione rimane una flebile traccia nelle collane vinte al bingo organizzato dalla Rsa in cui risiedi, e non sai quanto questo pensiero mi rattristi.

Mi commuove il ricordo della tua generosità, rimasta intatta e che ancora esprimi quando, con insistenza, vuoi regalarmi i biscotti della tua merenda durante le mie visite.

 Poi certo, rammento anche di quanto potessi diventare una terribile rompiscatole o, peggio, quando ti inventavi dei panegirici assurdi per portarmi esattamente dove volevi che andassi, con una maestria manipolatoria che ho compreso tardi.

Ho detestato questa tua peculiarità: la tua abilità nel condizionare la realtà, pur essendo un difetto esecrabile, ora si rivela un vantaggio; in qualche modo, riesci ancora a dare giustificazioni plausibili a tesi improbabili, trovando un canale per aggirare le lacune mnemoniche. 

Cara Mamma, anche se il tempo tende a cancellare le sgradevolezze, per carattere sai bene che non imbelletto mai la realtà per barattarla con illusorie verità, e non sono disposta a farlo con nessuno, neppure per te.

In ogni caso sei sempre la mia cara Mamma e, per quanto mi sarà possibile, farò del mio meglio per starti vicino e proteggerti.

Ti vorrò bene per sempre.

C.


Pubblicato in riflessioni | Contrassegnato , , , , , , , , , , | 2 commenti

E COSÌ SIA



Oggi è una giornata che risuona di blues, uno di quelli malinconici e senza iperboli.

Sarà che il cielo non riesce a decidersi tra il grigio stemperato in sprazzi di azzurro e improvvisi lampi di sole: un tentennamento che acuisce lo spleen.

Il raziocinio mi porta a rifuggire la consapevolezza che lo sconforto sia derivante dagli inciampi inaspettati della vita, ma non si può dare sempre colpa alla sfortuna.

Ho bisogno di dinamismo: attraverso la città con passo lento mentre i pensieri precipitano a cascata uno dentro l’altro, senza soluzione di continuità.

Non mi arrendo al loro vorticoso flusso e, come per un’inconscia autodifesa, mi vengono in soccorso gli occhi che, con rapidi sguardi, si appoggiano su ciò che mi circonda: come telecamere, riescono a distrarmi dalla cupezza che mi avvolge come una nebbia ostile, incanalando la mia attenzione nel turbinio degli incessanti stimoli visivi che la città suggerisce. 

Ecco uno stormo di piccioni levarsi all’unisono, spaventati da un improvviso rimbombo, mentre un esercito di riders sfreccia con pericolosa velocità e distrazione, diretti chissà dove.

Scorgo frotte di turisti alla ricerca di un posto in prima fila nei dehors dei bar del centro mentre, affamati e stanchi, consultano compulsivamente lo schermo dei loro smartphone.

Percepisco il rapido scalpiccio delle persone, che colgo affannate a risolvere chissà quale improcrastinabile faccenda.

Mentre il mio incedere lento contrasta con il tutto, il tutto mi appare accelerato, come un giro di giostra perpetuo e privo di scopo.

Poi, improvvisamente, mi raggiunge il desiderio di eseguire un rapido passaggio davanti alla magnolia, che immagino fiorita, sottostante la maestà del Duomo.

La sua apparizione mi commuove e mi avvicino, pronta ad accogliere il suo saluto marzolino, illudendomi consapevolmente che la sua bellezza sia un’esclusiva a me riservata.

Si è fatto tardi: devo tornare agli obblighi professionali a cui non vorrei cedere il passo.

Stringo i denti e percepisco un languore in fondo allo stomaco che promuove un sentore di fastidiosa autocommiserazione.

Penso che l’abbattimento percepito sia forse riconducibile alla carenza di zuccheri che ogni anno mi impongo, da Carnevale fino alla resurrezione del Cristo.

Nella certezza che non è quello ciò che mi inquieta, allungo il passo e sorrido alla leggerezza dell’istante.

E così sia.


Pubblicato in riflessioni | Contrassegnato | Lascia un commento

GAZZELLE

Ma chiamami quando riatterri sul mondo perché mi stringo un po’ e sposto un po’ di me”

Gazzelle, per la prima volta a Sanremo, presenta “Tutto qui”, una canzone intima, quasi sussurrata, controcorrente rispetto alla sguaiatezza dominante. 

Un cantautore che porta al Festival il suo stile senza ammiccamenti, un modo onesto per promuovere la sua musica senza tradire se stesso; di questi tempi è merce rara.

Pur avendo sentito parlare di lui come di un esponente della musica italiana indie, non conoscevo il suo repertorio e non nutrivo la curiosità di approfondire. Colmerò la lacuna.

Sul quel palco Gazzelle non usa la scorciatoia dell’outfit appariscente, come osano molti suoi colleghi, anzi. L’unico vezzo che si concede sono gli occhiali da sole, magari indossati per timidezza, vai a capire.

Tutto qui non è certo un motivo che suona la cassa dritta, non è un reggaeton, non è un rap, e non è neppure funky. 

Non contiene nulla di ciò che funziona di questi tempi: non strizza l’occhio al mercato e non galleggia in quel miasma di brani tutti uguali, scritti sempre dagli stessi autori (sarà per questo che tanti si assomigliano tra loro?).

Insomma, non è un brano omologato al mainstream, non ha neppure le carte in regola per diventare una hit (vivaddio!).

E’ un concentrato di non.

Una voce fuori dal coro che non ha bisogno di gridare ciò che ha da dire: vuole solo raccontare, con semplicità.

E’ una canzone che poco ha a che fare con il Festival e, probabilmente, è il motivo per cui mi ha colpita: passa dal palco in punta di piedi, con levità, tra l’indifferenza di molti.

Sia chiaro: non è certo un capolavoro, ma a me pare una boccata di ossigeno immersa in un panorama musicale asfittico.

Anche solo per questo, mi viene da dire: Evviva!

Pubblicato in riflessioni | Contrassegnato , , , , , , , | Lascia un commento

BENIAMINO

Correva l’anno 1991 e, più precisamente l’8 gennaio.
Non ricordo affatto di come abbia passato la giornata.
Era il tempo della mia prima vita: nel pieno della giovinezza, attraversavo gli anni con relativa insoddisfazione, ancora ignara di ciò che l’esistenza mi avrebbe riservato in futuro, la mia seconda
possibilità.


Quanta vita è passata da allora!


Erano gli anni in cui in Italia circolava ancora la Lira, al posto dell’Unione Europea c’era la CEE e Internet era ancora lì da arrivare, mentre i social network non erano neppure immaginati.
Per la velocità in cui si sono sviluppati i cambiamenti sociali, sembra di parlare di remote ere geologiche.


A ricordare come sia trascorso quel lontano 8 gennaio non credo possano essere in molti, perché o si è Gianni Morandi che trascrive gli eventi quotidiani sulle pagine di un’agenda , o è occorsa una vicenda talmente straordinaria da rimanere scolpita nella memoria.


Di sicuro però l’ 8 gennaio 1991 ha rappresentato la chiave di volta per Beniamino Zuncheddu, il pastore sardo condannato all’ergastolo per la strage di Sinnai.
Un processo viziato da depistaggi, false testimonianze e vizi di forma.


Grazie alla sua famiglia e a coloro che hanno sempre creduto nella sua innocenza, è stato riaperto il caso e, nel processo di revisione, la Corte d’Appello penale di Roma ha emanato – il 26 gennaio 2024 – la sentenza di assoluzione per l’ex pastore.


Zuncheddu è stato in carcere trentatré anni, da innocente.
Si è sempre dichiarato estraneo alla strage, anche quando avrebbe potuto beneficiare di uno sconto di pena, barattandola con un’ammissione di colpevolezza.
Non ha mai ceduto al ricatto, ponendo innanzi a tutto la dignità della sua innocenza.


Zuncheddu, dopo la lunghissima prigionia, è un uomo provato, che ancora oggi, alla sua domanda “Perché?”, non trova risposta.
Guardandolo attraverso le immagini in tivù, vedo un uomo provato, con uno sguardo remissivo, sconfitto.


Beniamino e il suo sorriso privo del biancore dei denti, che assomiglia a un buco nero; un pozzo profondo e tenebroso, che arriva dritto al cuore dove, per non impazzire, si è annidata la sua giovinezza, perduta per sempre.


Non ci sarà nessun risarcimento che potrà restituirgli i suoi ventisette anni – ormai ne ha quasi sessanta – e il tempo in mezzo alle due età è una vita sprecata, attraversata da amarezza e disperazione.


Possa Beniamino trovare una vecchiaia serena.
Che, almeno quella, non gli sia negata.

Pubblicato in riflessioni | Contrassegnato | Lascia un commento

REWIND 2023 – FORWARD 2024

Anche questo 31 dicembre è arrivato, con i suoi bilanci e le aspettative per l’anno che sta per iniziare.
Come in un film, pigio il tasto rewind e scorrono all’indietro le immagini di questo 2023. Tanti sono stati i momenti che mi hanno riempito l’anima, lievi come nuvole candide in transito su un cielo azzurro.
Come non ricordare i colori di Napoli, le nivee mura della Puglia, le colline piacentine, i bistrot di Parigi e i meravigliosi borghi del centro Italia: tutti luoghi carichi di curiosità e bellezza, di piccoli momenti di felicità.
Come trascurare le tante persone incontrate, disponibili al dialogo e contente di farsi ritrarre in bianco e nero, regalandomi con generosità scorci di vita vissuta.
Ricordo anche l’emozione della prima lezione di acquerello, i relativi progressi e la serenità creativa che mi trasmette la pittura.
Un desiderio che mi suggerisce di credere ancora nei sogni, perché, a volte, diventano realtà.
Se non ci avessi provato…
Come non serbare il ricordo della festa di compleanno di mia madre, del suo sorriso felice per quell’inaspettata sorpresa, anche se nutro il sospetto che sia stata una gioia più mia.
Scorrono sullo schermo della memoria i volti delle persone che sento vicine, mentre sfumano nell’oblio quelle trascurabili, che lascio andare senza rimpianto.
Non c’è più tempo per la sciatteria.

E poi Pakoloco, ma lui c’è sempre.

Ricordo anche i momenti duri, e ce ne sono stati.
Ma perché citarli ora?
Non lo farò, per non darla vinta a quell’inquietudine che a volte mi prende e mi rabbuia.
È arrivato il tempo di stoppare il rewind e innescare il forward per tornare a oggi.
È il giorno giusto per augurare a tutti buona vita per il 2024.
Per quel che mi riguarda, sarà il mio obiettivo per i prossimi dodici mesi, e anche più.

Pubblicato in riflessioni | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento

LE STRAVAGANZE DELLA TENEREZZA

In occasione del rinnovo di scadenza annuale del contratto di uno storico cliente della mia agenzia, lo cerco al telefono per fissare un appuntamento, una consuetudine che dura da parecchi anni.

Mi risponde Sandra, sua moglie.

Scambiamo qualche battuta e, tra una parola e l’altra, mi fa intendere che Gianfranco, pur essendo ancora lucido e presente nonostante i suoi novantatre anni, è costretto a letto per la quasi totalità del tempo a causa di forti dolori ossei.

Questo giustifica la sua inusuale intromissione, dal momento che in precedenza avevo sempre trattato le questioni professionali con il marito.

Prendo dunque accordi per la visita con Sandra, anche lei avanti con l’età, ma più dinamica e attiva. Lei e Gianfranco stanno insieme fin dalla giovinezza e dalla loro unione non sono arrivati figli, circostanza che mi appartiene.

Arrivato il giorno stabilito, mi presento all’appuntamento.

Sandra mi accoglie sorridente, sussurrandomi che Gianfranco è seduto nella stanza a fianco, sotto uno strato di maglioni morbidi e caldi per avversare le basse temperature, che patisce in modo particolare.

L’ha convinto a lasciare il letto per il divano, per rendersi presentabile alla mia visita.

Sandra mi dirotta in cucina, e già mi sembra una stranezza, dal momento che negli anni precedenti venivo sempre ricevuta nel salone, come si fa con gli ospiti di riguardo.

Non che la situazione mi disturbi, ma è certamente anomala; è come se si fosse improvvisamente aperto un nuovo canale di maggior confidenza, che rasenta l’intimità.

E siamo già alla seconda stramberia.

Mi siedo, facendo una breve panoramica della stanza: tutto è ordinato e lindo, mentre l’arredamento d’antan mi procura una paramnesia, facendomi fare un salto all’indietro nel tempo da ferma.

Per rompere il ghiaccio, le dico che la trovo bene.

Lei si schernisce, dicendo che ormai è vecchia.

Replico che anche io non sono ormai più tanto giovane: lei, di rimando, dice che scambierebbe volentieri la mia età con la sua.

Mi precisa, con un orgoglio un po’ vezzoso, che lei, alla mia età, ancora sciava sulle Dolomiti e, a riprova, mi mostra una foto che stacca dalla vetrinetta del mobile alle mie spalle.

Il ritratto riprende lei e Gianfranco in versione “discesa libera”.

Guardo la foto e faccio un commento che ora non ricordo: ma che ho parlato con tenerezza, questo sì, lo rammento bene.

Improvvisamente Sandra si avvicina, sfiorandomi i capelli con la mano.

“Che belli i tuoi capelli, sembrano d’argento” esclama, passando al tu.

Ringrazio del complimento, un po’ stupita per l’azzardo del gesto.

Non si scosta da me: muove solo la mano dai capelli al volto: mentre mi dà una carezza, mi dice “Come sei bella!”

Di primo acchito penso che abbia ovviamente smarrito gli occhiali da presbite, ma non riesco a non avvertire il suo affetto sincero; così ringrazio del complimento, con un velo di imbarazzo.

E giungiamo così alla terza stravaganza.

Mi rimane vicina, ma ancora più protesa verso di me.

Piantando i suoi occhi cerulei nei miei, mi chiede in un sussurro tremulo d’emozione:

“Se dovesse succedermi qualcosa e Gianfranco rimanesse solo, posso dirgli di chiamarti? Sono certa che saresti in grado di provvedere alla sua sistemazione”.

Disarmata, confermo comunque la mia disponibilità, mentre mi travolge un’emozione che non riesco a celare.

E’ un fuggevole momento, un attimo in cui mi sento la figlia che Sandra non ha mai avuto mentre lei si sente la madre che non è mai stata.

A quel punto siamo oltre la bizzarria.

Svanisce l’incanto.

Provvediamo a sistemare l’incombenza per la quale sono venuta e poi mi invita ad andare nell’altra stanza, per un saluto a Gianfranco.

E’ stanco, e immagino che non veda l’ora di raggiungere di nuovo il letto per dare tregua alle sue ossa; così, dopo un brevissimo dialogo, mi congedo.

Sandra mi accompagna all’uscio e rimane in attesa dell’arrivo dell’ascensore, come a trattenermi accanto a sé fino all’ultimo istante.

Continua a ringraziarmi sorridente, quasi sollevata.

Ci scambiamo un ultimo sguardo: il suo carico di speranza, il mio simile a una promessa.

Credo che questo sia uno dei più bei doni di Natale che io abbia mai regalato.

Pubblicato in riflessioni | Lascia un commento

AMBROGINO D’ORO

Pare che nella rosa dei candidati alla più alta onorificenza meneghina per l’anno in corso compaia il nome di un comico, un certo Andrea… Vattelapesca!

Che sia stato prescelto appunto un comico, non è certo una novità; a colpirmi sfavorevolmente è proprio “l’Andrea”, appellativo con cui chiamerò la persona in questione; con il nome anticipato dall’articolo, proprio come “se dis a Milan”.

L’Andrea, dicevo, proprio colui che recita battute omofobe e sessiste, spesso rasentando l’insulto.

Come, non avete capito chi è?

L’Andrea, quello che, quando nei suoi show descrive la moglie, la dipinge come un pitbull con la bava alla bocca. Tanto per dire.

Avete presente come deambula L’Andrea?

Quella falcata che tracima l’arroganza un po’ sbruffona di chi alla fine ce l’ha fatta, così simile a quella di un altro Andrea di “blu estoriliana” memoria: che bizzarra coincidenza.

Stessa grazia di portamento, stesso eloquio raffinatissimo: due gemelli diversi separati alla nascita (il secondo Andrea è improvvisamente scomparso dai radar, ma questa è un’altra storia).

Qui però mi preme raccontare l’aneddoto che vede coinvolti me, l’Andrea e il solito Pakoloco.

Estate: temperatura torrida e sole implacabile, che arroventa l’asfalto del Naviglio Martesana, a quell’ora pressoché deserto.

Io e Pakoloco stiamo correndo, lui davanti e io a seguire.

Ad un tratto, più avanti di una quindicina di metri, vedo un runner alto e un po’ sghembo, di quelli che ti inducono a pensare che l’unico sport di cui siano pratici è la carambola del biliardo.

Passo lento di un bradipo assonnato, fiato corto e rumoroso come un mantice in azione.

Pakoloco lo sta per doppiare, lo guarda e gli esclama: “Forza Inter”.

E il bradipo, di rimando: “Sempre!”

Arrivo e, naturalmente incuriosita, lo guardò per capire chi sia: ma è l’Andrea, il noto comico di fede nerazzurra!

Mentre gli sfilo accanto, credendomi spiritosa, rilancio con un sollecito: “Forza Milan!”.

Con l’ultimo fiato che ha in gola, il nostro eroe mi risponde: “ Ah…mmah…zzah…ti!”.

Avrebbe avuto a disposizione un universo di parole, ma l’unica che ha trovato è stata <ammazzati>.

Ecco chi è per me l’Andrea: un comico di discreto successo, incapace di disinnescare una provocazione con una battuta fulminante; che poi sarebbe il minimo sindacale che ci si aspetterebbe da uno che di mestiere vuole fare ridere, posto che l’umorista sia dotato di intelligenza.

Almeno in questo caso, siamo fermi al paleolitico inferiore.

E quindi, dopo l’iscrizione al Famedio di Mr. B, diamo ora l’Ambrogino D’Oro anche all’Andrea: un personaggio che dovrebbe vivere di parole, ma che per risolvere un busillis ne individua solo una, di orrenda e traboccante violenza.

Eppure continuiamo così, puntando al ribasso, che tanto abbiamo già cominciato a scavare.

Pubblicato in riflessioni | Contrassegnato , , , , , , , , , | Lascia un commento

LA PESCA

Ormai non ci sono più dubbi: l’Italia è il Paese con il più alto tasso di faziosità al mondo.

Riesce a dividersi persino sulla pubblicità di Esselunga, quel corto andato in onda lunedì scorso dove una bambina cerca una riconciliazione dei genitori separati.

Che poi non è stato accertato se sia stata usata una “pesca noce” o quelle con “il pelo”, perché esiste il serio rischio che si possa sindacare anche su questo.

Dal momento che il filmato credo sia ormai stato visto anche dagli animali domestici, mi autorizzo a non sintetizzarne la trama.

Quello che ho osservato però è la mutazione genetica dei messaggi pubblicitari, così simile al comportamento di un virus quando si evolve, compiendo il salto di specie.

Finora il marketing ci aveva abituati a spiare dentro l’abitazione della “famiglia del Mulino Bianco”, assurta nel tempo ad archetipo, un paradigma colmo di irrealtà da renderla quasi insopportabile. 

Ma i tempi cambiano e la comunicazione, sempre attenta a cogliere le metamorfosi sociali, ha dato inizio a una nuova narrazione: racconta la disgregazione del nucleo famigliare attraverso lo sguardo di una bambina, la quale si assume una responsabilità che non dovrebbe competerle.

Se anche i bambini vengono chiamati in causa per mettere una pezza ai disastri degli adulti, significa che siamo arrivati… alla frutta. Anzi, alla pesca.

In ogni caso, questo nuovo linguaggio ha generato un immediato corto circuito, creando correnti di pensiero contrapposte e dividendo l’opinione pubblica: c’è chi sostiene che sia una pubblicità atta a colpevolizzare i genitori separati, altri che guardano al corto come un messaggio finalizzato alla tutela della famiglia tradizionale.

Lo spot è diventato persino un caso politico: come se non bastassero i provvedimenti della maggioranza per litigare con l’opposizione, in Parlamento si scontrano anche sulla pesca, intesa come frutto e non come risorsa naturale.

Che, se solo gli venisse in mente, il Ministro Lollobrigida ne sparerebbe un’altra delle sue.

Quindi l’intenzione dei responsabili marketing di questa campagna pubblicitaria era quella di fare discutere, proponendo un nuovo prototipo di famiglia? Forse lo spot è scevro da significati reconditi, ma ho la sensazione che siano stati assolutamente voluti.

Di certo c’è che del mini-film ne parlano tutti, tanto che nei giorni scorsi l’hashtag #Esselunga è schizzata nei trend topic dei social, regalando al supermercato una visibilità e un ritorno pubblicitario enormi.

Obiettivo centrato.

E chissà: se Eva avesse raccolto la pesca al posto del pomo della discordia, forse ne saremmo usciti riconciliati.

O forse no.

Pubblicato in riflessioni | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento

PARIGI

A Parigi ci andai secoli fa, quando ero ancora una ragazza.
Mi ospitò uno zio emigrato, che partì dall’Abruzzo con le tasche piene solo di speranza per il futuro.
La città mi parve estesa all’infinito,  ma regalava un fascino che fece presa nel mio sentire e di cui ne conservavo un ricordo gentile.
Pakoloco, al contrario, non aveva mai conosciuto Parigi e non nutriva alcun interesse nei suoi confronti, forse a causa di una sua reticenza pregiudiziale.
Insomma, siamo partiti con il Freccia Rossa e, in una manciata di ore, siamo arrivati alla Gare de Lyon, trovandoci improvvisamente catapultati in una bolgia umana.
Anche se leggermente frastornati, non ci siamo scoraggiati, iniziando l’approccio parigino con le sue viscere.
Le infinite arterie che costituiscono la metropolitana, ci hanno permesso non solo un’eccellente mobilità, ma anche la scoperta di un mondo sotterraneo e parallelo, brulicante della più eterogenea umanità in perpetuo movimento.


Nel nostro soggiorno non siamo mai stati abbandonati dal maltempo: a parte qualche ora di tregua, siamo stati perseguitati dalla pioggia, declinata nelle sue più svariate forme: sottile, violenta, costante e, sicuramente,  fastidiosa.
Nonostante il meteo avverso non abbiamo mai abdicato alla visita dei luoghi iconici della città: la Tour Eiffel, i musei Louvre e D’Orsay, il giro sul battello lungo la Senna.
I nostri passi instancabili e curiosi ci hanno condotto per il Quartiere Latino,  Montmartre, le Marais, Pigalle, gli Champ Elisee, i giardini Luxenbourg, senza trascurare Saint Germain des Prés.
Ecco: forse il sottile filo di delusione che mi ha disturbato è stato provocato proprio da questi sopralluoghi.
Alcuni quartieri sono ormai ostaggi della pesante presenza turistica e, conseguentemente, hanno perso l’antico fascino che conservavo nella memoria e che sono andati irrimediabilmente perduti.
La città mi ha mostrato una metropoli caotica e globalizzata, inondata da turisti di cui, con fastidiosa consapevolezza, ammetto di fare parte.


Ho da sempre un sogno nel cassetto: partire per una meta con il biglietto di sola andata, senza limiti temporali, per decidere un ritorno in divenire. Un Gran Tour duepuntozero che, credo, rimarrà un sogno.
L’unico modo che potrà riparare questo desiderio sarà approfondire gli aspetti più autentici di Parigi, scoprire le piccole realtà affrancate dal turismo di massa e accordare il battito del cuore con quello della città.
Abbandonarsi alla lettura di un libro al tavolino di un bistrot defilato, frequentato dagli habituè. E ancora, respirare quell’allure bohemien così ben raccontata da artisti e intellettuali che tanto mi è mancata e credo esista e resista.


L’ho intravista Parigi, seppur di sfuggita. Me l’hanno suggerita il fruscio di una gonna di una ragazza seduta al banco di un bar e, anche, le spire di fumo di una sigaretta consumata con lentezza da una donna anziana.


Credo nell’esistenza di una Parigi diversa, ed è proprio lì che dovremo tornare, ancora.

Pubblicato in viaggi | Contrassegnato | Lascia un commento

MISTER B.

Oggi in Duomo a Milano si è tenuto il funerale di Berlusconi.
Posso quindi pubblicare il mio scritto senza che nessuno possa alzare il sopracciglio per manifestare disapprovazione sul tempismo.

Berlusconi è ormai storia, la storia d’Italia degli ultimi trent’anni.

Non ho mai fatto mistero della mia distanza dal Cavaliere e da ciò che ha rappresentato,eppure non ho gioito della sua morte, perché non traggo godimento dalla dipartita di qualcuno, anche quando il mio modo di pensare è all’opposto.
La morte merita rispetto.

Però, adesso che la litania dei necrologi si è esaurita, sento di poter esprimere liberamente il mio pensiero.

Mi fa sempre specie constatare quanto sia breve la memoria delle persone; eppure io ricordo molto bene – e dovrebbero farlo tutti – che il Cavaliere è stato condannato in via definitiva a quattro anni di carcere per il processo Mediaset: i reati accertati erano falso in bilancio e appropriazione indebita.

Altri processi hanno ottenuto sentenze di non luogo a procedere, grazie ad amnistie o a leggi ad personam.

Bastasse solo questo, credo che il lutto nazionale sia stata un’iniziativa del governo del tutto fuori luogo; lo Stato ha il dovere di attribuire gli alti riconoscimenti esclusivamente a cittadini con una storia personale priva di ombre e non a personaggi così divisivi per il Paese.

Con B. si è prodotto il Berlusconismo che, come ha ben detto Dacia Maraini,
“è la più grande catastrofe culturale del nostro tempo… subdolo e sotterraneo, ha introdotto la cultura di mercato, quella in cui tutto si compra e si vende, dai senatori alle minorenni”.

Il Berlusconismo è l’attuazione del “Pensiero-Alibi”: con la ricchezza si ottiene il potere, senza doversi preoccupare del come conseguire entrambi, perché ogni mezzo è accettabile.

E’ un gioco al ribasso che suggella sia la menzogna che la furbizia come strada maestra, dove il protagonista promette “Un milione di posti di lavoro” o sottoscrive “il patto con gli italiani”, trasmettendo un’empatia finalizzata al convincimento delle masse, atta a costruire una dinamica di identificazione del popolo con il leader.

Non importa che ogni promessa sarà disattesa, perché ciò che interessa a B. è il potere economico per favorire le proprie aziende.
E’ il sogno americano in salsa tricolore di un imbonitore che ce l’ha fatta.

Come non ricordare le interviste e le tribune politiche dove B. ha attuato la strategia della reiterazione di uno slogan fino a farlo diventare verità?
Un modus operandi poi adottato anche da altre forze politiche, ma il primato resta suo.

Potrei citare numerosi esempi, ma ne basta solo uno su tutti: i reati (o presunti tali) si trasformano in “persecuzione della Magistratura”.

Non ha importanza che siano fatti da indagare, accertare e, possibilmente, da giudicare; rimane una vessazione e basta.

Se si è l’editore di tre reti televisive nazionali e private, si ha in più un megafono potentissimo, capace di influenzare l’opinione pubblica, soprattutto se, in qualità di Presidente del Consiglio, si alienano le voci discordanti, magari attraverso un “editto bulgaro”.

Certo, anche l’opposizione ha fatto seri danni e grossolani errori, come, in primis, rinunciare alla modifica delle leggi ad personam una volta arrivata al governo.
La disgregazione della sinistra comincia da lì.

Vorrei ricordare anche le gaffe di B., il suo modo bizzarro di partecipare a summit e vertici internazionali, con quel comportamento “simpatico e quasi amicale”, che divertiva una parte del pubblico italiano, ma che lo screditava nell’opinione pubblica straniera.

Impossibile trascurare inoltre la presunta “rivoluzione liberale” del Cavaliere, mai prodotta e mai veramente perseguita… solo parole al vento.

Ci sarebbero ancora tanti lati oscuri da esplorare, ma trent’anni sono troppi per essere contenuti in un articolo, già ormai troppo lungo.

Come molti in questi giorni hanno già detto, B. verrà giudicato dalla Storia. Questo è sicuramente vero, come è vero che B. ha goduto di fama, ricchezza e potere: tutte cose che ha dovuto lasciare andare, temo con disappunto.

Infine vorrei manifestare un’ultima domanda, che spesso mi sono posta:
cosa ne pensano veramente le figlie femmine delle famose cene eleganti?

A questa domanda, temo, non riceverò mai risposta.

Pubblicato in riflessioni | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , | Lascia un commento