PARIGI

A Parigi ci andai secoli fa, quando ero ancora una ragazza.
Mi ospitò uno zio emigrato, che partì dall’Abruzzo con le tasche piene solo di speranza per il futuro.
La città mi parve estesa all’infinito,  ma regalava un fascino che fece presa nel mio sentire e di cui ne conservavo un ricordo gentile.
Pakoloco, al contrario, non aveva mai conosciuto Parigi e non nutriva alcun interesse nei suoi confronti, forse a causa di una sua reticenza pregiudiziale.
Insomma, siamo partiti con il Freccia Rossa e, in una manciata di ore, siamo arrivati alla Gare de Lyon, trovandoci improvvisamente catapultati in una bolgia umana.
Anche se leggermente frastornati, non ci siamo scoraggiati, iniziando l’approccio parigino con le sue viscere.
Le infinite arterie che costituiscono la metropolitana, ci hanno permesso non solo un’eccellente mobilità, ma anche la scoperta di un mondo sotterraneo e parallelo, brulicante della più eterogenea umanità in perpetuo movimento.


Nel nostro soggiorno non siamo mai stati abbandonati dal maltempo: a parte qualche ora di tregua, siamo stati perseguitati dalla pioggia, declinata nelle sue più svariate forme: sottile, violenta, costante e, sicuramente,  fastidiosa.
Nonostante il meteo avverso non abbiamo mai abdicato alla visita dei luoghi iconici della città: la Tour Eiffel, i musei Louvre e D’Orsay, il giro sul battello lungo la Senna.
I nostri passi instancabili e curiosi ci hanno condotto per il Quartiere Latino,  Montmartre, le Marais, Pigalle, gli Champ Elisee, i giardini Luxenbourg, senza trascurare Saint Germain des Prés.
Ecco: forse il sottile filo di delusione che mi ha disturbato è stato provocato proprio da questi sopralluoghi.
Alcuni quartieri sono ormai ostaggi della pesante presenza turistica e, conseguentemente, hanno perso l’antico fascino che conservavo nella memoria e che sono andati irrimediabilmente perduti.
La città mi ha mostrato una metropoli caotica e globalizzata, inondata da turisti di cui, con fastidiosa consapevolezza, ammetto di fare parte.


Ho da sempre un sogno nel cassetto: partire per una meta con il biglietto di sola andata, senza limiti temporali, per decidere un ritorno in divenire. Un Gran Tour duepuntozero che, credo, rimarrà un sogno.
L’unico modo che potrà riparare questo desiderio sarà approfondire gli aspetti più autentici di Parigi, scoprire le piccole realtà affrancate dal turismo di massa e accordare il battito del cuore con quello della città.
Abbandonarsi alla lettura di un libro al tavolino di un bistrot defilato, frequentato dagli habituè. E ancora, respirare quell’allure bohemien così ben raccontata da artisti e intellettuali che tanto mi è mancata e credo esista e resista.


L’ho intravista Parigi, seppur di sfuggita. Me l’hanno suggerita il fruscio di una gonna di una ragazza seduta al banco di un bar e, anche, le spire di fumo di una sigaretta consumata con lentezza da una donna anziana.


Credo nell’esistenza di una Parigi diversa, ed è proprio lì che dovremo tornare, ancora.

Informazioni su ottobiscotto

Nasco a Milano, città in cui vivo. Ho la presunzione di essere simpatica, lasciandomi anche la libertà di non esserlo. Quando ho qualcosa da dire la scrivo, ma non sempre. Mi piace fotografare la vita con le immagini e con le parole. Dipingo acquarelli.
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